lunedì 27 settembre 2010

ARTEP - Thy Will Be Done On Earth As Is Done In Hell


Informazioni
Gruppo: Artep
Anno: 2010
Etichetta: Bleak Art Records
Contatti: www.myspace.com/artepmetal
Autore: Mourning

Tracklist
1. Birth Of The Antichrist
2. Antichrist
3. Eruption
4. Desolate Land
5. Crossing The Acheron
6. Armageddon
7. Black War
8. Eye Of The Serpent / Oko Hada

DURATA: 44:09

Gli Artep sono una band canadese che ha fra le sue fila membri di Vanquished, Infernal Majesty e Funeral Fornication, dopo aver prodotto un demo e un ep in questo 2010 sotto la Bleak Art Records danno via all'uscita ufficiale con il full di debutto "Thy Will Be Done On Earth As Is Done In Hell".
Inizio col dire che molti dei brani sono tracce a cui è stata data vita nuova, le quattro iniziali sono infatti derivanti dal demo "Fires Of Mortal Deception", la pancia dell'album contiene le due nuove "Crossing The Acheron" e "Armageddon" mentre la coda è affidata a prove anch'esse riprese dal passato, precisamente da "Black War" di un biennio fa.
Suonano un symphonic black in cui il ruolo della tastiera è importante, le influenze sono quelle di band classiche dello stile, si va quindi dai Dimmu Borgir ai primi Cradle Of Filth passando per gli Anorexia Nervosa e l'unico act oltreoceanico che mi vien da citare in questo momento potrebbe essere quello degli Abigail Williams ma c'è ancora da lavorare un bel po' per raggiungere i livelli massimi ottenuti dai primi.
E' una proposta alquanto canonica quella offertaci, vi sono delle buone strutture che riescono a miscelare discrete melodie ad assalti arrembanti in brani come "Eruption", creare atmosfere lussureggianti con una bella "Antichrist", una "Desolate Land" che ancora una volta esalta il lato sinfonico così quanto è semplice ma efficace una "Crossing The Acheron".
Non è una pecca ripercorrere strade già segnate, il metal odierno c'insegna che il revivalismo è una sorta di docet dove tutti provano a rifare ciò ch'è stato non sempre riuscendoci e spesso mancando anche delle qualità di base per farlo, per fortuna gli Artep non sono fra questi ultimi, il disco scorre piacevole arrivando ai quasi otto minuti battaglieri di "Black War" non troppo faticosamente e lasciando il compito di sparare le ultime cartucce a una "Eye Of The Serpent/Oko Hada" che mette in mostra quanto la formazione culturale del genere proveniente dal nostro continente sia stata fondamentale per dar vita al loro sound palesandone le influenze.
Un platter che fra alti e bassi non dispiace, i canadesi si sono affidati alle sapienti mani di Andy La Rocque e dei Sonic Train Studios svedesi per il master ma ciò che lascia invece a desiderare è la produzione.
Sin troppo cruda e alle volte ruvida per una realtà che si adopera nello sfoggiare aperture strumentali considerevoli all'interno dei propri pezzi, è il drumming a risentirne con maggiore peso dato che in alcuni frangenti risulta essere più affine a un'esplosività sonora death/grind che a una matrice blackish vera e propria, al contrario delle tastiere e dei volumi delle chitarre che mantengono degli standard più che accettabili.
Molto ben curato dal punto di vista dell'artwork, Ra.Design ha inquadrato sia come toni che illustrazioni l'intento nero delle canzoni di "Thy Will Be Done On Earth As Is Done In Hell".
Se il lato sinfonico del black e dell'estremo in genere vi attira e le band menzionate nel testo vi piacciono o vi incuriosiscono per un qualsiasi motivo non negate un ascolto agli Artep, il primo passo è stato fatto, continuando su questa strada forniti di buona lena non potranno che crescere qualitativamente.

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SNAKE EYES - Beware Of The Snake


Informazioni
Gruppo: Snake Eyes
Anno: 2010
Etichetta: Slaney Records
Contatti: www.myspace.com/snakeeyesthrash
Autore: Mourning

Tracklist
1. Scream For Thrash
2. Vesper
3. WARning
4. Strzez Sie Weza
5. Gain Nothing
6. Bestia
7. Niebieska Poswiata Zubozenia
8. Plague IX
9. Crimes Of Imagination

DURATA: 40:58

E' arrivato il momento di debuttare come si deve anche per i polacchi Snake Eyes che, incrociati già in passato (avevo recensito il loro demo "Watching You" che troverete girando per il sito), mostravano di possedere le carte in regola per farsi valere.
Scorrendo la tracklist si nota che alcuni dei brani sono stati ripresi dal lavoro precedente anche se l'averli rielaborati ne offre altra degna versione, perle come "Scream For Thrash" che inaugura i giochi e "Gain Nothing" non hanno perso smalto proponendosi con la dovuta carica e un riffing maligno che dalla scuola tedesca del trio storico ha preso i natali.
Il primo impatto con la tonalità gutturale di Pawel può risultare non semplice da farsi piacere, è sicuramente un cantato cattivo e ruvido quello che l'ex degli Hetzer innesta sulle basi ma che rappresenta la propria personalità altamente sprezzante che con il lungo andare risulterà incassarsi discretamente sulle tracce.
L'alternare della lingua che vede anche l'uso del polacco è una scelta che ormai in molti utilizzano, l'idioma nazionale non toglie nulla a canzoni che riescono a farsi apprezzare per una prestazione di buon livello sia delle due asce "Sewko" e Marcin sia della ritmica imposta dal basso di ""Hipis" e dal drumming martellante di "Simon", i quali calibrano potenza e possenza con la velocità più adatta a dar vita a ognuno degli episodi.
Fra i più riusciti oltre alle due tracce "conosciute" e riviste c'è sicuramente la più lunga del platter, "Bestia", forte di una bella serie di riff vecchia scuola che tagliano in due rimembrando Schmier e soci, "Niebieska Poswiata Zubozenia" altro esempio di motosega che non ha troppi riguardi per il fronzolo in genere e la successiva "Plague IX" che chiude il terzetto dedito al verbo dell'"only violence" continuando con lo scapocciamento libero.
Sono quaranta minuti di sano e salutare thrash metal, produzione pulita ma neanche troppo evitando l'esasperata ricerca del sound sterile da Nuclear Blast che tanto va di moda e un complesso che fa ancor più ben sperare per un futuro devoto a tale sound fanno degli Snake Eyes una realtà capace di fronteggiare a testa alta i tanti colleghi che si cimentano in maniera similare e perché no, anche più smorta, per mancanza d'attitudine in un genere che purtroppo vanta un intasamento sempre maggiore.
Amanti del thrash quindi segnatevi il loro monicker e date un ascolto a "Beware Of The Snake", il disco in questione vi regalerà dei piacevoli momenti che condivisi con una bionda (birra o figa fate voi) non potranno che far piacere.

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HOW WE WORKED CORPSECLEANERS - Cleanax

Informazioni
Gruppo: How We Worked Corpsecleaner
Anno: 2010
Etichetta: Ek Rec
Contatti: http://www.myspace.com/howweworkedcorpsecleaners
Autore: Mourning

Tracklist
1. 8th Day: We Have Washed Jesus Body, And It Has Revived
2. 10th Day: Business Trip On Red Square In The mausoleum
3. 13th Day: Tragical Case With The DJ On A Hippodrome
4. 18th Day: Exhumation Of Local Otolaryngologist
5. 12th Day: I Suspect Of It Fascist Slogans (A.Hitler's Song)
6. 14th Day: Anthem Of The Corpsecleaners
7. 6th Day: Revenge Of Pigs To Swineherds
8. 19th Day: Volvo Has Moved The Lying Policeman
9. 7th Day: Horrible Accident - A Dog Is In Roller's Ass
10. 9th Day: The Window Cleaner And The Corpsecleaner - What The Same?
11. 16th Day: Fuck Yeah! It's Weekend Time!
12. 11th Day: Again It Is A Lot Of Work - Yesterday There Was An Act Of Terrorism
13. 15th Day: Murder On Racial Soil 9 9-Inch Nails In The Nigger
14. 17th Day: Salad From Bikers. Fuckin LEGO
15. 20th Day: How We Worked Corpsecleaners
16. 20th Day: How We Worked Corpsecleaners (Karaoke)
17. 1st Day - Oh My Fuckin God! Here Really Cleans Corpses
18. 2nd Day - It's So Hard To Work Without Half-Litre
19. 3rd Day - Cheerful Dismembership In Iron Basins And Jars
20. 4th Day - Fuck! The Local Otolaryngologist Is Dead
21. 5 Day 5 Day:Oh My Fucking God! Worms In Your Guts!

DURATA: 29:20

Pazzia, divertimento, testi folli e una sana dose di violenza? Tutto questo è racchiuso nel divertente e sconsiderato platter che i russi How We Worked Corpsecleaners ci offrono come primo prodotto rilasciato.
"Cleanax", è questo il titolo scelto per un contenitore che al suo interno vede inserite ventuno tracce deliranti che fanno della passione grind coesa con fraseggi mathcore e varianti decisamente inaspettate come il country la propria forza.
Non è un disco dalle concettualità elevate, la formazione gode di una discreta tecnica e la convoglia nel riffing che sa anche essere spietato in più di un'occasione. "1st Day - Oh My Fuckin God! Here Really Cleans Corpses" è devastante, è comunque la componente legata alle scelte stravaganti a renderlo interessante.
Il wah wah che si scatena in "13th Day: Tragical Case With The DJ On A Hippodrome", i sample che si fanno largo in più occasioni, lo scacciapensieri che udirete in "14th Day: Anthem Of The Corpsecleaners" dalle chitarre progressive, ed è un continuo alternare, cambiare, girovagare nel mondo metal e non solo, fanno sì che ci sia tanta carne al fuoco ma che non si bruciacchi divenendo insipida con commistioni forzate a ripetizione.
Certo la batteria che suona come una latta sembra stridere con le sei corde e un basso dal suono in alcuni frangenti pulitissimo e impreziosito da una produzione cristallina che esalta, il complesso si sforza nel far convivere un assemblato non sempre capace di mantenere costante il feeling con ciò che propone ma non è lontano dal raggiungere il risultato sperato.
La voce è suina, quel bel vortice con pig squeal, maiale pronto a farsi macellare che alle volte lascia spazio a gorgheggi e screammate impazzite ma sempre acide come una spruzzata di sangue rancido che vi si schiaffa in pieno volto.
Non c'è tempo però per lasciarsi andare a considerazioni sommarie perché incontrando episodi come "16th Day: Fuck Yeah!It's Weekend Time!" che fanno combaciare la violenza con la ricercatezza delle tinte prog e ancora la versione karaoke di "20th Day: How We Worked Corpsecleaners", che è di per sé già strana dato che è una country ballad metallizata d'improvviso mutata in un revival di "Nella Vecchia Fattoria" lascia per l'ennesima volta spiazzati, non so davvero cosa si possano ancora inventare questi "esaltati" e contate che in quest'ultimo brano il drumming accantona la confezione di pelati per sfruttare un sound più classico e quindi altro punto a loro vantaggio.
Continuamente in corsa, come camaleonti giocano con le mille facce del sound gli How We Worked Corpsecleaners, non è un album che si ascolta tutti i giorni "Cleanax" ma quando c'è da spezzare i ritmi della routine o da risollevarsi il morale con una bella botta d'adrenalina un sorriso è sicuramente una compagnia che non dispiace.
Non vi resta che provarlo, la breve durata e un po' d'alcol al vostro fianco aiuteranno a godersi meglio l'euforica release dei russi, scatenati!

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AKEM MANAH - The Devil Is In All Of You


Informazioni
Gruppo: Akem Manah
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/officialakemmanah
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Black Flame
2. Apocalypse
3. A Cold Dark Night
4. The Haunting Of Saint Luciferi
5. Satan Calling
6. Black Water Falls
7. The Devil Is In All Of You

DURATA: 51:21

Gli Akem Manah (da non confondere con la formazione belga omonima) sono dediti al doom/death primordiale, americani dell'Oregon, il trio segue linee musicali semplici e alquanto dirette concentrandosi sull'apporto atmosferico ricreato da sonorità grevi e testi innegianti a Satana e all'oscurità in genere.
Fra le band di riferimento si possano leggere i nomi di Ramesses, Thergothon, Skepticism ed Evoken, è da questa fascia di sound che prendono ispirazione lasciando che il viaggio sia dilatato e di frequente sfrutti ridondanze cicliche nelle quali s'inserisce una chitarra a intarsiare melodie in sottofondo e chissà filosoficamente magari legati alla visione dei Coven (fra i tanti), band fine anni Sessanta/Settanta che faceva di testi devoti e indirizzati al credo dell'"Angelo Caduto" uno dei loro punti di forza a dare concettualità e fine al susseguirsi delle note.
I musicisti che danno vita a "The Devil Is In All Of You" sono Dead Nedry (voce e chitarra), Robert Ingraham (basso) e Brian Murray (batteria).
Le canzoni in esso contenute hanno avuto un parto lungo dovuto anche ad alcuni cambi in line-up che hanno rimandato l'uscita del disco preceduto da alcuni demo rivisti anche più volte (vedasi il primo "The Devil" ri-registrato dopo l'abbandono del chitarrista sostituito direttamente da Dead).
L'album è maligno, silente e strisciante, come un serpente si muove basandosi su ritmi lenti dove la batteria mette a segno un buon lavoro alternando con vari passaggi sui tom un che di ritualistico/tribale a un incedere che ha del sulfureo, cosa che si concretizza al meglio nella terza in scaletta "A Cold Dark Night", apripista per la monolitica e abissale "The Haunting Of Saint Luciferi" fosca come un sentiero notturno inesplorato.
Il percorso della tracklist sembra proprio evocare l'arrivo dell'ultimo giorno da vivere su questa terra, quell'apocalisse che dovrebbe esortare lo scontro finale fra le forze che governano il pianeta (non vediamola solo dal punto di vista giudaico) inziando quindi da "The Black Flame" che invoca l'ascesa del "Portatore Di Luce", in attesa di una chiamata che "Satan Calling" con il ritornello:

"Satan Calling
Beneath The Earth
Satan Calling
Brainwashing Birth"


cerca di diffondere, cosa rimane da fare se non sperare in un "reale" scontro titanico? Tralasciando l'aspetto devoto è comunque ora di svegliarsi da un oppiaceo religioso che tiene spesso e volentieri soggiogate le menti e la figura del demonio in genere non è sintomo di ribellione? Chi dice sia la via sbagliata andar contro una catena millenaria che imbriglia le menti di quelli più influenzabili, una qualsiasi strada è da considerare prima d'esser scartata.
E' quasi inevitabile che la marcia caratterizzante tali brani sia quindi un'estesa, flemmatica e lancinante sequela di riff e synth che non leniscono all'anima il pensiero di decadenza ma l'accentuano sino a esaltarlo, è così che "Black Water Falls" continua a battere, stavolta con vigore, il terreno già smosso.
La titletrack consapevolmente inserita alla fine del disco è l'episodio quantitativamente più massiccio, il titolo e il testo per altro alquanto semplice come messaggio puntano gioco-forza sulla natura umana che istintivamente è portata a godere delle tentazioni, citando il ritornello che in maniera schietta dice testualmente:

"The Devil Is In All Of You,
There Is Nothing You Can Do"


sarà vero? Probabilmente una parte oscura risiede in ognuno di noi ed è difficile poterselo negare e come avviene in natura anch'essa viene nutrita pur non essendo coscienti nel farlo e il viaggio termina con questa enunciata verità degli Akem Manah.
Il platter è alquanto piacevole come suoni, è centrato caratterialmente verso ciò a cui vuole dar voce e se alcune soluzioni risultano conosciute o scontatelle si possono anche bypassare dato che si parla dell'evoluzione di due demo divenuti un album, dove alcuni pezzi hanno ancora l'impronta dei musicisti che hanno abbandonato tale percorso.
"The Devil Is In All Of You" si farà apprezzare da chi è appassionato di doom/death e ha il bisogno di perdersi nei meandri di musica che non ha il necessario intento di mostrare tecnica o ricerca particolare, se vi ritenete fra questi, l'acquisto e supporto alla realtà dei tre giovani porterebbe in casa un tassello valido da inserire nella vostra collezione.

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GENEVA - Sail On Suds

Informazioni
Gruppo: Geneva
Anno: 2010
Etichetta: Trendkill Recordings
Contatti: www.myspace.com/genevafr
Autore: Mourning

Tracklist
1. And Dust Sugar From My Fold
2. Drivin' Across The Sky
3. All In All
4. Echoes Wine
5. On My Own
6. Opposite/Attract 1
7. Opposite Attract 2
8. Hope

DURATA: 1:02:09

I Geneva sono un trio francese che segue l'onda post metallica dove progressione, influenze rock e core s'incrociano dando spesso vita a release colme di pura e istintiva emozione.
La band composta da Jean-Charles Debeaux (voce e chitarra), Rémi Dularier (batteria) e Alex Soler (basso) ha da poco rilasciato "Sail On Suds", otto tracce per oltre un'ora di musica di alto livello che non nega di sicuro la palese influenza di act quali Isis, Cult Of Luna, Explosion In The Sky e Mogwai riuscendo a trarne giovamento imbastendo trame che alternano spazi aperti e dispersivi per l'animo ad altri più pressanti e grevi.
Non vi è sorta di staticità, l'album è in perenne rivoluzione ed evoluzione e con "And Dust Sugar From My Fold" avrete modo di incrociare sin da subito l'intero repertorio stilistico di cui i Geneva sono in possesso, il brano è possente, i suoi dieci minuti scorrono però via lisci senza problemi grazie a una costante volitività espressiva messa sul piatto come cibo di cui sfamarsi.
L'entrata in scena di "All In All" scandita da una batteria grandiosa con basso e chitarra vivaci pronti a esplodere ne fanno canzone da seguire con l'orecchio ben dritto, vi sono poi le scansioni atmosferiche offerte da "On My Own" dove farà la propria comparsa H. Burns a supporto vocale.
L'ultima canzone citata prende una piega notevolmente rilassata, le funzioni vitali più esplosive vengono accantonate per dar spazio a un flusso di note espanse e l'accoppiata di voci che si sposano malinconicamente affini sulla base la candidano seriamente a essere una delle hit del platter ma non è il momento di fermarsi ed ecco quindi che i due movimenti "Opposite/Attract" rianimano la situazione, la seconda guest si rivela essere il cantante Pierre Vigueir dei Tantrum che metterà a servizio la propria ugola nel primo dei capitoli.
Se tutto quello che sinora vi sia stato proposto non vi fosse bastato ecco che i Geneva vi regalano quasi tredici minuti di eccitazione infilando in "Hope", traccia posta in coda, anche il rimando al sound dei Tool, è percettibile come il drumming e lo sviluppo di quest'episodio per versanti precisi si possa collegare alla prestazione probabilmente apice della carriera della band statunitense: "Aenima", mantenendo quella propensione a virare in corsa senza perdere di coerenza.
"Sail On Suds", prodotto da Serge Morattel (all'opera anche con i Knut), è un lavoro solido, entusiasmante, a cui riesco a trovare come unica pecca quella di esser lievemente tirato per le lunghe, un paio di minuti in meno qui e là l'avrebbero reso meno dilatato e fornito una maggiore compattezza e incisività dando uno sfogo più prorompente ad alcune canzoni.
Non si può comunque che rimanere soddisfatti dopo un ascolto simile, se quindi siete appassionati delle formazioni citate in testa alla recensione avrete la dimostrazione da parte di questi ragazzi che pur avendole comprese abbiano messo del loro, questo vi farà amare l'album ancora di più, ascoltarlo sarà un'ora spesa bene.

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RISE ABOVE DEAD - Human Disintegration


Informazioni
Gruppo: Rise Above Dead
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/riseabovedead
Autore: Advent

Tracklist
1. Raven's Call Of Revenge
2. Persecuting The Samaritan
3. Existence
4. Scattered And Forgotten

DURATA: 13:48

Blackened hardcore, ci pensate? Un vinile (12'') contenente quattro pezzi diversi tra loro. "Existence" affonda le radici in una musica in vena dei più cazzuti Cursed per lasciare il passo a stacchi doom che richiamano gli Electric Wizard in "Persecuting The Samaritan" (la più originale del platter), è metalcore cattivo incrostato con una parte saliente melodica osteggiata dal riproporsi del post-metal. I difetti ci sono, ovviamente non è tutto perfetto, alcuni riff risultano meccanici, risuonano come se siano stati incastrati, e il modo in cui si incontrano batteria e chitarre non è il massimo della gentilezza. Non sono gravi mancanze, si riscontrano prevalentemente nella prima traccia "Raven's Call Of Revenge", mentre l'ultima "Scattered And Forgotten" è quella che preferiranno i fan degli AmenRa con quel caratteristico tocco che li ha resi gli avversari numero uno degli Isis.
Confesso di sentire già di voler bene ai ragazzi, ma ora mi rivolgo a loro: nonostante abbiate prodotto qualcosa di piccolo è tremendamente promettente.
Se volete devastare l'Italia però ho due nomi da proporvi per aggiustare la produzione: Time To Burn e Pig Destroyer. Pezzi più lunghi e meglio calibrati e non sarete da meno dei nostrani The Secret.

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DISTASTE VS BASTARD PEELS - Split


Informazioni
Gruppo: Distaste/Bastard Peels
Anno: 2010
Etichetta: Refused Records
Contatti: www.myspace.com/distastecult - www.myspace.com/bastardpeels
Autore: Mourning

Tracklist
Distaste (Aut)
1. Needs
2. Robots
3. Statement
4. You
5. Facedown In Dust
6. Burn
7. 2314 (Bastard Peels cover)
Bastard Peels
8. Sonne Sehen
9. Wie Wird Es Sein
10. Toepfer
11. Lego Aber Keine Haende
12. Kamera
13. Wenn Du Gehst
14. Infected (Distaste cover)
15. Dauerhaft Akut
16. Spassmacher

DURATA: 32:16

Split che vede unite in unica release brani di due formazioni della scena grind austriaca: Distaste e Bastard Peels.
Un album di sedici tracce che come buona scuola insegna supera di poco i trenta minuti di durata mantenendosi spesso su ritmi sparati ma altrettanto sapientemente sfrutta tonnellate di groove e inserti melodici.
Decisamente diverse le proposte che le realtà ci offrono, l'apertura spetta ai Distaste che attingono ampiamente dal sound nord-europeo con Nasum, Repulsion, Rotten Sound e il groove degli Entombed a far capolino a più riprese in badilate veloci e ficcanti come in "Needs" opener decisa ad arare di dietro, nelle scalanature profonde e acide di "You" e di una "Burn" che si ciba della d-beat generation svedese più che mai.
Il passaggio alla scelte musicali dei Bastard Peels si nota di netto innanzitutto per una qualità di produzione deficitaria rispetto a quelle dei compagni d'avventura e per un vero e proprio salto nel passato che ricorda i Napalm Death e Dying Fetus più efferati con alla voce un animale, un suino o fate voi, fatto sta che le badilate si succedono una dietro l'altra con schemi caotici e orientati verso un impatto violento privo di compromesso con risultante migliore in una folle quanto esaltante "Wie Wird Es Sein".
Le band si rendono omaggio a vicenda con i Distaste che coverizzano "2314" dei Bastard Peels e viceversa fanno i Peels con "Infected" dimostrando quanto sia goliardica e fraterna la passione che lega i due act.
Non si parla certo di un lavoro che promette invenzioni o ammodernamenti dello stile, le band si divertono e divertono con una discreta tecnica i primi e con la capacità di travolgere come un treno i secondi che soffrono forse la chitarra leggermente soffocata quando il pedale spinge a pieno regime.
Lo split è un buon modo per dare la dovuta rilevanza a entrambe le formazioni, se vi ritenete appassionati del genere un ascolto a "Distaste Vs Bastard Peels" non negatelo, potrebbero essere lo spunto che ve li farà tenere d'occhio in futuro.

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SORIZON - Behind The Emerald Starscape


Informazioni
Gruppo: Sorizon
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/sorizon
Autore: Mourning

Tracklist
1. Cosmic Eden
2. Atlantis
3. Lady Of The Sea
4. Kirsnabogg
5. Beauty In Darkness
6. Don't Just Exist
7. Earth War I
8. Buried
9. Bridges Burned
10. La Fee Verte
11. Outreach

DURATA: 43:40

I Sorizon vengono da Orange County che in Italia è zona più conosciuta per le avventure di certi adolescenti sfigati che per altro, il panorama musicale di quell'area vede nascere molte stelle pop da Mtv e robe similari altamente trascurabili per chi è alla ricerca di qualcosa che valga la pena d'ascoltare più di mezza volta ogni decade.
Ad appena due anni dalla nascita i ragazzi sono già pronti a scaldare le polveri con un debutto autoprodotto, "Behind The Emerald Escape", dalle indubbie qualità che pecca forse ancora di una mancanza d'esperienza e qualche ingenuità ci può stare, fatto che constaterete però è che nei suoi quasi quarantaquattro minuti avrete a disposizione un bel po' di carne al fuoco da poter gustare.
La band unisce melodeath, prog metal e classicismi heavy in un'unica formula che spazia da nomi quali Nightingale, Symphony X, Fates Warning, Dragonland e Elegy a In Flames e Dark Tranquillity mostrando un lato europeo che col passare degli ascolti vi sembrerà sempre più evidente.
Prima di passare alle tracce c'è da elogiare la prova dietro il microfono di Keith McIntosh che seppur con qualche sbavatura nei passaggi che alternano pulito e scream/growl pare essere molto sicuro e cosciente delle proprie capacità, supportato dallo splendido lavoro delle sei corde a opera di Danny Mann e AJ Jorion che forniscono una pressione coerente sia nei momenti in cui l'aggressione viene richiesta a gran voce, sia in quelli dove la melodia e la solistica si rendono partecipi del gioco.
L'album non vanta undici capolavori ma si può dividere in due tronconi che ne rispecchiano a mio parere pienamente il valore: A) composto da: "Kirsnabogg", "Lady Of The Sea", "Buried", "Bridges Burned", "La Fee Verte" e la conclusiva "Outreach" che rappresentano i punti più alti conseguiti dal songwriting e dal punto di vista del feeling anche con soluzioni come le linee di synth in "Lady Of The Sea", un particolare in più da vantare, una prestazione degna del miglior Ray Alder e l'uso dell'acustica decisamente gradevole inserito nel contesto più veloce di "Bridges Burned".
B) ne fanno parte: "Atlantis", "Beauty In Darkness", "Don't Just Exist", "Earth War I" che pur essendo dei gran pezzi mancano forse di quel quid (ma il parere personale potrà essere facilmente ribaltato dal proprio gusto) che le faccia risplendere come le precedenti pur avendo in seno scelte indovinate come l'intro surf/country che da vita alla seconda in lista.
Fuori da questa disputa, se così si può definire, rimane l'opener "Cosmic Eden" che col suo flavor derivante dal folletto Swano e forte della sua concezione progressiva dopo svariati ascolti, pur dimostrando di non avere punti deboli palesi, sembra lievemente pasticciata nelle vocals perdendo qualche punto, potrei collocarla come pezzo che va a giornate, in alcune è da ripetizione continua, in altre una volta è già troppo.
Ho accennato prima alla prestazione offerta da cantante e chitarristi quindi è cosa dovuta spendere due parole anche per una sezione ritmica che vede Keith Hoffman al basso, sicuro, preciso ma che potrebbe lasciarsi un po' più andare partecipando con qualche breve incursione solistica visto che il lavoro di base lo svolge alla grande e non scoprirebbe di sicuro il reparto e uno Sean Elston alla batteria vero metronomo dei brani, adatto anche nel proporsi con buoni cambi e scatti in velocità.
Prodotto con un grande professionalità, i suoni che ascolterete in "Behind The Emerald Starscape" sono curati molto al di sopra delle classiche release che di frequente s'incontrano nel ramo delle autoproduzioni sotto le attenzioni proprio di Sean, la band si è poi decisa di oltrepassare l'oceano per affidarsi alle mani di Mika Jussila dei Finnivox Studios per il master.
I Sorizon hanno concentrato gli sforzi, in poco meno di due anni hanno messo a segno il colpaccio dando vita a un disco con gli "attributi" capace di tenere testa ad act molto più navigati e che contemporaneamente si presenta fresco e piacevole all'orecchio.
Se le sonorità progressive in genere sono il vostro pane quotidiano l'ascolto e l'acquisto di questo platter vi sono altamente consigliati.

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ANOTHER PERFECT DAY - The Gothenburg Post Scriptum


Informazioni
Gruppo: Another Perfect Day
Anno: 2010
Etichetta: Supreme Chaos Records
Contatti: www.myspace.com/APDmetal
Autore: Mourning

Tracklist
1. For You... Forever
2. The Matador
3. The Ghost She Slept Beside Me
4. Until You Bleed
5. The Great Nothing
6. In The end...The End
7. The Lullaby
8. For Us... Forever
9. Composition In Black

DURATA: 49:36

Gli Another Perfect Day nascono come una band nella prima metà degli anni Novanta, la formazione successivamente splitta per riprendere vita nel duemilacinque con il solo Kohle (Kristian Kohlmannslehner) a reggerne le sorti tramutandola quindi nel proprio solo project.
E' di quest'anno il rilascio sotto etichetta Supreme Chaos Records del primo lavoro "The Gothenburg Post Scriptum", un album raffinato ed elaborato come si dovrebbe più spesso fare, una miscela di atmosfere melodiche di tipo doom e death con l'addittivo progressive che scorre nelle vene di un riffing ispirato, è questa la formula che dona alle tracce una rilevanza e fruibilità di tutto rispetto.
Si nota come la fusione del death di matrice Gothenburg trovi contatto con la musicalità di certe scelte legate al sound Paradise Lost, di quanto la natura seventies più volte emerga da un mare in tempesta che d'improvviso si quieta rimembrando soluzioni degne del miglior Danny Swano e neanche a dirlo, il geniale musicista/produttore è stato scelto dall'artista per essere uno dei cantanti ospiti all'interno del platter in compagnia d'illustri colleghi quali: Jagger (Disbelief), Arno Menses (Sieges Even).
Kohle aiutato strumentalmente esclusivamente dal batterista Sascha Schiller (Solar Fragments) piazza delle vere e proprie hit che ascolto dopo ascolto acquistano valore facendo presa grazie a soluzioni e combinazioni anche semplici ma indovinate come avviene nella bella "The Ghost She Slept Beside Me" dove proprio nell'alternarsi con il buon Swano e l'aiuto di una vena chitarristica spensierata che accarezza gradevolmente le orecchie ci delizierà non poco.
Decisamente interessante lo sviluppo prog combinato con scatti irruenti che si registra in episodi come "Until You Bleed" e "The Great Nothing" con la seconda che spicca per un dolciastro incedere che ne acuisce il fattore malinconia e una "Lullaby" che per modo d'imporsi e spirito ricorda l'era iniziale del doom/death inglese.
"The Gothenburg Post Scriptum" è un disco che come una seducente compagna di viaggio t'invita a lasciarti andare, a metterti il mondo alle spalle riflettendo su ciò che l'attimo che vivi ti dà possibilità di godere, un platter prodotto con cura in cui gl'incastri reggono, le voci pulite e non si assestano sulle basi con la giusta potenza e leggedria, se c'aggiungete una produzione che ben identifica la strumentazione dando la rilevanza adatta a ogni settore, il gioco è fatto.
Siete amanti del death e doom di stampo melodico? Gli Another Perfect Day vi offrono l'occasione di dare in pasto al vostro udito cinquanta minuti di musica di qualità, non vi resta che dargli una chance facendolo girare nel vostro stereo.

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SLEESTAK - Skylon Express

Informazioni
Gruppo: Sleestak
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/sleestak
Autore: Mourning

Tracklist
1. Skylon Express
2. Burnout
3. Library Of Skulls
4. Enik's Lament
5. Angela
6. Sleestak Wardance
7. The Marshall Plane
8. Birds Of A Feather

DURATA: 57:50

Gli Sleestak si formano nel 2003, la band di Milwaukee composta da: Matt Schmitz (voce e chitarra), Dan Bell (basso), Brian Gresser (chitarra) e Marcus Bartell (chitarra) è una combinazione esaltante di sound southern di stile Down iperdrogato d'atmosfere seventies Black Sabbath e psichedelia Pink Floyd, Hawkwind, in pratica quella che si può definire una miscela da trip infinito.
L'album "Skylon Express" racchiude le fatiche musicali sin qui messe in piedi dalla formazione, sono stati infatti convogliati al proprio interno i due ep antecedentemente rilasciati, "Library Of Skulls" e quello che da oggi titolo al lavoro che mettono in evidenza quanto sia evoluta e appassionata la ricerca da parte del quartetto di soluzioni sia nell'ambito dei territori doom più vicini alla scia metal, sia alla corrente rock primordiale che ne ha influenzato le varianti ormai divenute sempre più importanti per la crescita del genere stesso.
Forse è stato anche un bene che la pubblicazione di quest'album sia arrivata sulla lunga distanza, "Skylon Express" già dal primissimo ascolto risulta essere maturo, ben calibrato e pienamente affine alla cultura musicale di cui si nutre, non c'è un solo pezzo che allenti la tensione, è completo.
Le danze vengono inaugurate proprio dalla titletrack che con i suoi dieci minuti e più è fra i capitoli più corposi della release, fortemente psych addicted e con una vena progressiva che s'inserisce a delinearne le peculiarità tese a espanderne il suono ridondante in alcuni fraseggi è ben diversa dalla successiva "Burnout" che fa della solidità profonda e terrena il proprio marchio, la traccia è pesante, un bel mattone che piazza nella parte centrale un riffone movimentato adatto a far muovere il collo a più riprese per poi tornare sui propri passi e riprendere la marcia lenta e devastante.
Questo tipo di proposte viaggianti, ricche di cambi d'umore e pressioni interne, sono all'ordine del giorno, la bravura di chi si cimenta sta allora nel far convivere i vari ingredienti nel modo migliore ed ecco che con "Library Of Skulls" gli Sleestak ci presentano una canzone che fa dell'equilibrio fra il versante doomico e quello psichelico la forza che ne alimenta le note e se mentalmente le lancette riescono a fare anche un salto all'indietro di un paio di decadi e più, la cosa non può esser che positiva, storia che viene ripetuta con "Enik's Lament" una suite strumentale dove il gusto degli anni Settanta la fa da padrone e il pilota automatico s'inserisce da solo trasportandovi attraverso dimensioni parallele erette dalla coltre densa di psichedelia ch'esplode sottoforma di una pura e naturale improvvisazione.
Con "Angela" i ritmi s'infervorano e le melodie si fanno più accattivanti, anche la voce di Matt si pone con un graffio più incisivo, aggressivo ma che ben si presta all'approccio leggero offerto dalla canzone, "Sleestak Wardance" è al limite col death per la cattiveria con cui cinge l'ascoltatore, il riffing è serrato di quelli da headbanging e appare un growling scuro a evocarne il testo non fossilizzandosi e non smettendo di alternare scelte che lasciano piacevolmente spiazzati e se altro giro, altra corsa deve essere ecco che in "The Marshall Plane", episodio colosso che incarna nuovamente la creatura che si nutre della visione settantiana, fanno la loro comparsa un hammond, il wah wah, un percorso lastricato di molteplici sensazioni che si rinvigoriscono o addolciscono assecondando le montagne russe istintive che la sorreggono.
Il breve finale con "Birds Of A Feather" non fa che dare conclusione a un album che vien voglia immediatamente di rimetter su, "Skylon Express" è suonato alla grande e prodotto in altrettanta maniera, il suono è definito e ben scandito per tutta la strumentazione e Matt ci mette l'ugola sfruttandola con le giuste proporzioni sia come acidità, sia come melodia.
Gli Sleestak si fanno amare per la loro reale attitudine nel proporre una miscela altamente esplosiva, unica cosa da fare è comprare il disco di questi ragazzi e attendere notizie sul lavoro che stanno per registrare, "Fall Of Altrusia", dato che hanno deciso di affidarsi alle sapienti mane di Shane Olivo per dargli vita.
Acquisto decisamente consigliato.

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SLAGMAUR - Von Rov Shelter


Informazioni
Gruppo: Slagmaur
Anno: 2009
Etichetta: Osmose Productions
Contatti: www.myspace.com/slagmaur
Autore: Leonard Z

Tracklist
1. _
2. Drako Gigante
3. Fantom Eks Speriment
4. Lange Knivers Natt
5. Nattens Sorte Ord
6. Klokker Tramp
7. Ramaskrik

DURATA: 33:33

In molti si lamentano che la scena black norvegese sia statica e monotona. Niente di più falso, e a dimostrarcelo ci pensa questo lavoro degli Slagmaur. "Von Rov Shelter" (trad. "Nella Tana Della Bestia") è caratterizzato da una composizione tutt'altro che canonica, che si regge su tempi dispari scanditi da un drumming freddo e marziale, su cui si instaurano chitarre ronzanti e una voce marcia e graffiante. Non aspettatevi niente di usuale da questo lavoro, né dal punto di vista visivo, né da quello musicale. Le canzoni sembrano una discesa da vertigine negli abissi infernali, dove anche il beat della batteria non riesce a dar appoggio all'orecchio dell'ascoltatore, persa com'é nel suo procedere "zoppo". Alcuni brani sono impreziositi da richiami operistici che vanno ad arricchire questo bizzarro lavoro. Dal punto di vista grafico, già la copertina dice tutto: la rivisitazione de "L'Ultima Cena" di Leonardo in cui i nostri folli Slagmaur partecipano come Messia e Apostoli, con addosso face-painting e maschere che ricordano il "Dottore Della Peste" della tradizione veneziana. Se siete disposti ad ascoltare qualcosa di innovativo e non temete di addentrarvi nei meandri di questi Devil Doll del black norvegese "Von Rov Shelter" si rivelerà un ottimo acquisto.

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WHEELFALL - From The Blazing Sky At Dusk


Informazioni
Gruppo: Wheelfall
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/wheelfall
Autore: Mourning

Tracklist
1. From The...
2. Through the Desert
3. New Flesh
4. ...Blazing Sky... (NASA)
5. Troops Of The Dead
6. Brotherhood Of Sleep
7. Anthropophagous Astro Bastards
8. ...At Dusk...

DURATA: 31:47

Deserto in Francia? A meno che la mente non m'inganni a memoria non ricordo dune e territori che si possano definire tali eppure il sound dei Wheelfall, formazione di Nancy regione della Lorena, è devoto al sole che punge caldo e asfissiante, a quel paesaggio asciutto e brullo che porta alla mente i nomi di Kyuss, Slo Burn, Unida, Dozer e che anno dopo anno annovera un proselitismo sempre crescente.
"From The Blazing Sky At Dusk", ep di debutto autoprodotto del combo transalpino, è un revivalistico esemplare di come il sound della Desert Valley non abbia limiti né collocazione geografica che possa circoscriverne il valore e l'intensità espressiva.
Ci s'immerge in un mare sonoro familiare, il fuzz è di frequente in mode on e gli episodi che hanno il potenziale per far breccia nella nostra mente rimbalzando più volte sulle pareti del nostro cervello non mancano, dopo "From The..." una sorta di intro è con "Through The Desert" che le immagini e le note si fanno chiare e alquanto dirette sia nella riproposizione dello stile, sia per l'approccio ruvido e caloroso che imbracciano, i Wheelfall sono pronti a sparare le cartucce migliori e non si fanno certo attendere.
E' infatti da qui in poi che inizia il viaggio assolato e pieno di riff avvolgenti che portano al proprio interno il marchio seventies delle influenze sabbathiane e quello della scuola Homme, "New Flesh" è trascinante ma con "Troops Of The Dead" la voce roca del singer, i break spacca ossa e un riffato mastodontico la candidano a hit senza doverci pensare neanche più di tanto.
Impossibile poi non godersi la successiva accoppiata di canzoni formata da "Brotherhood Of Sleep" dal gusto doomish prorompente che rotola via come un bel masso pronto a sgretolarsi con un sonoro botto e "Anthropophagous Astro Bastards" che già solo per il titolo si becca un premio simpatia, c'aggiungete una bella chitarra distorta a sfondare e passaggi metallicamente fra i più prestanti del disco e i giochi son fatti.
A parte si può considerare lo strumentale "...Blazing Sky..., (NASA)" che fra scricchiolii e rumori al limite con lo space noise fa elementare e indovinato intermezzo.
Pur parlando di un album autoprodotto la qualità della produzione e del suono in generale è di quelle che non fanno rimpiangere band sotto grosse label, c'è ancora da lavorare sul come far combaciare in alcuni casi il lavoro di batteria con il resto, in "Brotherhood Of Sleep" per quanto il pezzo sia davvero piacevole in certi momenti il drumming di Quentin Vega sembra scollegarsi dal gruppo.
Fantastica la prova dietro il microfono di Wayne Furter che con la sua voce scura evoca alla mente più di un nome a cui far riferimento e al tempo stesso non fa staccare l'orecchio dall'ascolto, insieme a Cactus Daniel's forma la coppia d'asce che da vita al riffing, Niko El Moche al basso si destreggia al meglio facendo sì che lo strumento si ritagli il proprio angolo di paradiso all'interno dei brani, il che non è poco.
Se il buongiorno si vede dal mattino, beh i ragazzi possono tranquillamente sorridere.
Vi appassionano le sonorità stoner? Non vi resta che andare sullo space dei Wheelfall e scaricare gratuitamente la vostra copia di "From The Blazing Sky At Dusk" visto che le fisiche son finite, la band ci omaggia del free download, non sarete mica così sfaticati da non poter fare un doppio click col mouse? Mi auguro di no.

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MILLENIUM - Back After Years (Live In Kraków 2009)

Informazioni
Gruppo: Millenium
Anno: 2010
Etichetta: Lynx Music
Contatti: http://www.millenium.art.pl/ - www.myspace.com/milleniumpoland
Autore: Mourning

Tracklist
CD1
1. Visit In Hell
2. I Would Like To Say Something
3. Hundreds Of Falling Rivers
4. The Circles Of Life
5. Higher Then Me
6. Light Your Cigar
7. Insomnia
8. Light
9. Drunken Angels
10. Eternal Tale / For The Price Of Her Sad Days
11. Ultraviolet
12. Greasy Mud
CD2
1. Demon
2. Madman
3. Numbers
4. Back To The Childhood
5. Wishmaker
6. Embryo
7. Road To Infinity
8. Waltz Vocanda
9. The Silent Hill
10. My Life Domino
Bonus track:
11. Back After Years - Intro (Studio Mix)

DURATA: 2:17:40

A dieci anni dalla nascita della band, i polacchi Millenium dopo aver inciso sette album decidono di registrare un doppio live a Cracovia dal titolo "Back After Years" di cui verrà prodotta anche la versione dvd.
Il lavoro è la consacrazione di quanto di buono sia stato fatto sinora dalla formazione del singer Lukasz Gall e del tastierista produttore Ryszard Kramarski che nella versione da me ricevuta, un doppio cd digipack, vi faranno viaggiare con oltre due ore e un quarto di musica suddivisa in ventitré tracce estratte dal periodo legato alla storia dei tre fratelli ed "Exist".
Scelta una location intima, un piccolo teatro che potesse dar loro possibilità di avere un contatto "a pelle" con il pubblico, il neo prog dei musicisti divisi fra la moderna essenza del progressivo e la scuola di maestri come Pink Floyd e Marillion riesce a emozionare a più riprese con brani riproposti in maniera vivida e pulsante con picchi d'assoluto splendore artistico quali "Hundreds Of Falling Rivers", "Higher Then Me" e l'accoppiata formata da "Embryo" e la successiva "Road To Infinity" che da sole varrebbero l'acquisto di quest'opera.
La prova degli strumentisti è da cavalli di razza, i Millenium sono ormai rodati e pienamente consci delle qualità musicali di cui sono in possesso, lo dimostra il fatto che ognuno dei membri riesca a spiccare dando il proprio contributo a un complesso che continua a crescere.
Infatti se Lukasz è strepitoso nell'interpretazione che vien fuori da "Madman", la chitarra di Krzysztof Wyrwa è praticamente perfetta in fase ritmica (fantastico quando spinge con il wah wah) e sensazionale quando si mostra in fase solistica intagliando le melodie che particolareggiano il sound insieme alle onnipresenti variazioni e incursioni offerte dalle tastiere, dal mellotron, flauto e sintetizzatori ad opera di Ryszard.
"Back After Years" è un documento a riprova della maturità del combo che dopo aver confermato d'esser inspirato in studio con un "Exist" (2008) probabilmente definibile la vetta compositiva più alta raggiunta, lo suggellano anche in sede on stage.
Chi avesse avuto la fortuna d'incrociarli in passato con questo live aggiungerebbe un bel pezzo da collezione alla propria, per chi fosse al primo incontro con il sound di casa Millenium avrebbe fra le mani tanta carne al fuoco che potrebbe indurlo a un viaggio a ritroso per conoscerne e approfondirne la storia discografica.
Qualunque sia il caso, l'ascolto di questo doppio cd è consigliato agli appassionati del genere e non solo.

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MOTHER SUSURRUS - Mother Susurrus


Informazioni
Gruppo: Mother Susurrus
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/mothersusurrus
Autore: Mourning

Tracklist
1. Whoremonger
2. Apocatastasis

DURATA: 32:28

I finlandesi Mother Susurrus suonano uno sludge/doom con aperture post, si muovono quindi in una scena ormai sempre più ampia e satura in cui non è facile trovare uno spiraglio.
La band ha da poco rilasciato il primo lavoro, un ep omonimo di due tracce per poco più di trenta minuti di durata che, oltre a denotare una buona conoscenza del genere, mostra la presenza di prospettive di miglioramento considerevoli.
Certo è che i brani sono ancora a uno stato larvale, non possiedono l'appeal e la grinta adatti per farsi rispettare fra la folla di proposte similari ma alcune soluzioni risultano indovinate.
L'opener "Whoremonger" si contraddistingue per le linee melodiche tracciate dalla solistica nella sua parte più quieta e per un lavoro di dinamiche dietro le pelli alquanto curato, "Apocatastasis" invece per come viene imbastito e intessuto il riff, per l'essenza tribale che prende sviluppo nelle fasi evocative e per l'intensità con cui i solchi intagliano il sound.
Non si può dire che i Mother Susurrus siano originali o possano ancora contare su forze proprie, è però palese che le costruzioni sinora edificate con la dovuta accentuazione del fattore epico e l'irrobustimento della già corposa sezione sludgy potrebbero in futuro fruttare dei risultati di tutto rispetto che se supportate da una maturazione dal punto di vista della personalità diverrebero un centro pieno.
Attendendo quindi un platter più completo per assicurarsi dei progressi intrapresi dai ragazzi, consiglio a chi segue tale filone musicale di dedicare un po' di tempo all'Ep, una buona compagnia non si rifiuta mai.

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SCHWARZER ENGEL - Apokalypse (Promo Version)


Informazioni
Gruppo: Schwarzer Engel
Anno: 2010
Etichetta: Trisol
Contatti: www.myspace.com/schwarzerengelband
Autore: Insanity

Tracklist
1. Planet Hass
2. Krieg In Der Wüste
3. Der Schwarze Engel

DURATA: 12:39

Nati nel 2007, i tedeschi Schwarzer Engel sfornano quest'anno il debutto intitolato "Apokalypse". Quello che sto per recensire è però solo un promo di tre tracce della durata totale di circa dodici minuti. Il sound proposto è un Gothic Metal orecchiabile ma che non sfocia nello smielato, preferendo anzi qualche soluzione più dura. Una caratteristica che salterà subito all'orecchio è il cantato interamente in lingua madre, scelta coraggiosa quanto azzeccata. Il vocalist Dave Jason, che si occupa quasi interamente del progetto, è uno dei punti forti della band, capace di variare tra uno stile più duro e graffiato ad una voce profonda e solenne senza essere mai fuori luogo.
Per rendersene conto basta ascoltare "Planet Hass", in cui Jason accompagna degnamente un riffing melodico quanto semplice e un drumming deciso che scandisce il ritmo della canzone. A seguire troviamo "Krieg In Der Wüste", brano decisamente più dinamico e che punta più sulla potenza che sull'atmosfera, caratteristica riscontrabile anche nella voce che quasi perennemente tende ad un mezzo scream; notevole il lavoro delle tastiere, ben orchestrate e per niente abusate ma che anzi svolgono un ruolo prevalentemente di sottofondo. A chiudere il promo ci pensa "Der Schwarze Engel", forse la migliore delle tre, forte di un ritornello di quelli che entrano in testa al primo ascolto e non ne escono per una settimana. In questa traccia Jason si supera, le sue linee vocali si stendono su una tastiera che questa volta lascia il ruolo di accompagnamento alla chitarra creando un ritornello da brivido.
Giudicare un album da sole tre tracce è un lavoro impossibile, avrei preferito ascoltare interamente "Apokalypse" ma già da questi dodici minuti si può capire che la band ha potenzialità; la struttura dei brani è semplice ma perfetta per il sound molto catchy di questi Schwarzer Engel. C'è qualche piccolo dettaglio da aggiustare, in alcuni frangenti i piatti sono stati mixati male e con una produzione così pulita è un difetto che si nota subito, inoltre qualche passaggio suona leggermente fuori luogo, ma considerando che è la prima uscita di questa band sono difetti di poco conto soprattutto perchè ci sono parti talmente ben composte che li fanno dimenticare. A chi ama sonorità orecchiabili e gotiche non posso fare altro che consigliare l'ascolto di "Apokalypse" o almeno una visita al Myspace.

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UNTIL EXTINCTION - The Lament

Informazioni
Gruppo: Until Extinction
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/untilextinction
Autore: Mourning

Tracklist
1. Solitude
2. Putrefaction
3. Chapter And Hearse
4. Our Sanctum Defiled
5. The Whore Of Babylon
6. Lament
7. Pluvianus Devoured
8. Shipwreck In A Bottle
9. Epilogue
10. [untitled]

DURATA: 44:09

La scena MDM è sempre più affollata, non passi giorno che all'orecchio non arrivi una nuova band che prova a percorrere strade già note o che tenta di sfondare portoni dediti all'innovazione, massacrando quel poco di buono che aveva fatto in antecedenza attenendosi almeno con decenza allo stile madre.
Non è neanche vero che uno debba per forza inventarsi chissà ché, se penso che c'è gente che riesce a definire ascoltabile i Sonic Syndicate questo mi crea un'angoscia spaventosa, lo stile in sé, sottovalutato e ritenuto da molti lo sputtanamento del death, se poi vede il formarsi band così squallide sembra avvalorare tale causa.
Gli Untile Extinction, sestetto di Saint Louis, pur combinando la vecchia scuola dei Dark Tranquillity a un lato sinfo con l'aggiunta di un tocco estremamente catchy legato alla voce femminile Jen Fritz, che dolce apparirà a far la sua degna comparsata nelle tracce, e alla vena gotica presente più volte, non fanno parte degli innovatori ma bensì di quel filone che pur non innestando nulla di nuovo è riuscito a dar vita a un buon lavoro sfruttando al meglio le influenze del proprio background musicale.
"Lament", album di debutto dei ragazzi, offre degli spunti validi e sostanzialmente ben composti, sin dalle battute iniziali dell'intro "Solitude" si percepisce che l'atmosfera è una componente fondamentale della musica, un breve assaggio basato su synth eterei e note di piano ci proietterà all'opener reale del disco "Putrefaction".
La canzone fa intravedere come lo spirito del Gothenburg sound sia una costante a cui rifarsi, certi fraseggi riportano alla mente il periodo di "The Gallery", il frammentarle con inserti di stampo gothic è di venature derivanti d'altro genere fu una delle varianti portate in voga da Edge Of Sanity e proprio da Stanne e soci che ne divennero successivamente gli evoluzionisti per eccellenza sino alla forma ottimale ottenuta con "Damage Done".
Non per questo però gli Until Extinction si rifiutano di picchiare con efficacia quando serve né di scendere a un compromesso accentuatamente elementare da assimilare al momento opportuno, è quindi possibile incrociare scorrendo la tracklist pezzi dal piglio solido e volitivo come "Chapter And Hearse" che offre adito all'esistenza d'aperture sinfoniche, una "Our Sanctum Defiled" che si tiene a breve distanza dal confine black date le scorribande che ogni tanto si concede nel filone melodico del genere e "Whore Of Babylon" che se non fosse per le parti in voce graffiata di John potrebbe caratterizzarsi appieno come una creazione dei Crematory (tedeschi) nell'ambito delle più rilassate.
E' un platter che riesce a coniugare sempre e comunque almeno due stili facendoli convivere in maniera da dare come risultato un qualcosa opinabile come gusto personale ma che in linea di massima è positivo, è sicuro che i conservatori storcerebbero il naso (ad esser fini) già con l'inserimento di troppe tastiere o della voce femminile, daltro canto la proposta che gli Until Extinction si sono cuciti addosso permette di non fossilizzarsi ma di usare le linee guida dei generi per farli coesistere, è così che dopo l'episodio strumentale che da nome al lavoro, dove fuoriesce anche la parte acustica della band, si arriva all'ascolto di "Pluvianus Devoured" e "Shipwreck In A Bottle" che confermano quanto in precedenza aveva colpito.
La miscela è collaudata, aggressività e malinconia vengono a contatto, le voci si alternano come l'incedere che assecondando quale delle due prenda scena (clean o growl) ne assume le sembianze tendendo però a essere un po' imperfetto nelle fasi allentate, cosa che si noterà nella seconda citata.
Viene dato ampio spazio a Jen in "Epilogue", non più semplice inframezzo ma l'interpretazione è stavolta estesa, il brano non si distacca dal mood emotivo da quello che hanno proposto in antecedenza né si affievolisce più di tanto date le prorompenti entrate di John, il chorus è di quelli che si ricordano con facilità e lascia il segno, chiude l'ultima "[Untitled]" con note di piano e sottofondo noisy.
La resa del suono in generale è buona, pur essendo un'autoproduzione come avviene di frequente negli ultimi anni la media qualitativa è cresciuta e non ci sono difetti definibili gambizzanti per un album come "Lament".
Se avete quindi una visione libera e molto aperta del mondo metal dare una possibilità a "Lament" è un'oppurtunità per godersi un buon disco che possiede i numeri per attrarre più fasce di ascoltatori, se appartenete a chi crede in certe tipologie di sound ben precise, evitatelo ne rimarreste delusi.

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ROSAE CRUCIS - Fede Potere Vendetta Overlord Edition


Informazioni
Gruppo: Rosae Crucis
Anno: 2010
Etichetta: Jolly Roger Records
Contatti: www.myspace.com/rosaecrucisband
Autore: M1

Tracklist
1. The Fall Of The False
2. Fede Potere Vendetta
3. Crusade
4. Anno Domini
5. The Nemedian Chronicles
6. Crom
7. Venarium
8. Blood Steel
9. Yes We Tank (bonus track)

DURATA: 53:36

Fedeli dell'heavy/epic non temete, l'appellativo di Overlord Edition affibiato a "Fede Potere Vendetta" non ricalca alcuna operazione manowariana relativa a versioni in trentasette lingue diverse della stessa canzone o preservativi extra-large profumati. Molto più semplicemente si tratta di una nuova registrazione con l'aggiunta del cantato in inglese. I motivi di una tale scelta li approfondiremo direttamente con la band in sede d'intervista, perciò lanciamoci nell'analisi del disco.

Da un punto di vista musicale ovviamente questa nuova edizione continua a rivelarsi ottima, mi sembra banale dirlo ed è ancora una volta Jolly Roger Records a occuparsene supportata dalla distribuzione italiana di Masterpiece. Nel caso però vi foste persi la recensione di questo gioiellino pubblicata a metà marzo rieccovela: http://aristocraziawebzine.blogspot.com/20...e-vendetta.html. Passando al lato vocale emergono invece alcune magagne. L'inglese infatti non permette ai Rosae Crucis di esprimere appieno quel sentore epico che l'italiano rendeva prorompente, tanto che nella titletrack il passaggio più incisivo rimarrà quello in lingua madre. A pesare contro la "scelta internazionale" vanno anche le metriche inserite con risultati non sempre perfetti (e mi sembra normale dato che in origine i pezzi sono stati concepiti per l'italiano) e una pronuncia che talvolta può presentare sbavature o imperfezioni. Il risultato migliore a mio parere viene raggiunto su "Venarium" (che fra l'altro ospita Mr. Boltendahl) in cui la lingua anglosassone calza a pennello sulle note e in linea generale nelle varie parti recitate come ad esempio su "The Nemedian Chronicles".

L'unico brano inedito qui presente è l'anthemica "Yes We Tank", pezzo roccioso che va lentamente crescendo sino al ritornello muovendosi fra campionamenti di esplosioni e colpi di mitragliatrici, viene così messo in mostra un volto leggermente diverso della band, più compatto e "groovy" del solito.

Alla luce di queste considerazioni la Overlord Edition va ad occupare solamente il quarto e ultimo spot per importanza nella discografia dei Rosae Crucis, alle spalle di "Worms Of The Earth" che era stato ideato in partenza in lingua inglese. Non me ne voglia la band, che io adoro, ma a mio parere la vera essenza dei romani è quella che fa uso dell'italiano, ogni altra scelta imbriglia il potenziale dei capitolini e ne limita l'originalità. Aspetterò quindi con curiosità un nuovo capitolo inedito futuro.

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ARKHUM - Anno Universum


Informazioni
Gruppo: Arkhum
Anno: 2010
Etichetta: Vendlus Records
Contatti: www.myspace.com/arkhumofficial
Autore: Mourning

Tracklist
1. Appellation
2. Grief Urchin
3. Obviated Geocentrism
4. Obsolescent Husk
5. Bloodgutter Encircling
6. Officious Hoverer At L-Point 2
7. Nilpulse
8. Expendable Biomass

DURATA: 33:45

Nuova realtà quella degli Arkhum, in giro dal 2007 la formazione statunitense è finalmente uscita allo scoperto dando vita al debutto "Anno Universum" aiutata dalla Vendlus Records (Agalloch, Wolves In The Throne Room) e con Jason Walton (Agalloch) coinvolto nella sua produzione dietro il mixer.
La proposta è un death metal dalle venature black molto d'impatto sia per consistenza tecnica, sia per l'uso di soluzioni veementi, le otto tracce non arrivano a trentacinque minuti complessivi di durata evidenziando quanto puntino sul compatto ma ben orchestrato questi ragazzi.
Forti di composizioni variegate e dal buon gusto, possiedono come armi fondamentali un già discreto songwriting che permette di saltellare da uno stile all'altro senza farne risentire ai brani, una batteria dinamicamente prestante e assestata come un martello pneumatico quando serve e un sound che per chi segue formazioni come Augury e Obscura non potrà che essere di sicuro gradimento.
Gli Arkhum trattano di temi quali lo Sci-fi e lo spazio, lo fanno intendere sin dall'opener "Appellation" che prima d'iniziare a ringhiare intrattiene con un messaggio diretto ultraterreno.
Se canzoni come "Grief Urchin" e "Obsolescent Husk" si fanno notare più per la violenza che per altro, è la seconda parte del disco a palesare il gran operato del combo che con "Bloodgutter Encircling" e "Nilpulse" dimostra d'avere anche una capacità comunicativa non di secondo piano, il lavoro svolto dalle chitarre si enfatizza notevolmente, utilizzando una tempistica più lenta e ricercata nella prima, adornata da melodie in chiaro che l'avvolgono a più riprese lasciando il compito della chiusura alle note del piano e sfruttando la rapidità da fuoco di linea sempre pronto a colpire rapido e decisivo nella seconda.
Curato nei minimi particolari, con una buona distinzione per quanto riguarda i suoni che vengono percepiti molto bene dall'orecchio (anche il basso, sì), "Anno Universum" è un ascolto che s'inserisce in un panorama metallico saturo ma che data la bravura degli Arkhum e le qualità degli episodi merita sicuramente di fare un paio di giri nel vostro stereo, non si sa mai vi salti su la voglia d'acquisto.

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CRYOPSIS - Veil Of Psychotic Chaos


Informazioni
Gruppo: Cryopsis
Anno: 2010
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: www.myspace.com/cryopsis
Autore: Mourning

Tracklist
1. Prelude To Chaos
2. The Wall Of Dreams
3. Ursae Oris
4. Liquid Shadows Of Immaterial Reality
5. Pool Of Putrescence
6. Living Cage
7. Illusion Of Light
8. Crystallized Enucleation
9. Untitled
10. The Blood Fountain
11. Textures
12. Time Is Dying
13. Renaissance
14. Life Machina
15. Behind The Mirror
16. Ephemeral

DURATA: 1:01:48

Il numero delle one man band nel mondo death metal dopo il 2000 è andato crescendo esponenzialmente, alcune molto valide, altre su cui è meglio stendere un velo pietoso, fatto sta che il fenomeno non tende a diminuire di dimensioni ma bensì si rimpolpa.
La realtà transalpina dei Cryopsis è a questa corrente di pensiero che si rifà e visto che sul finire degli anni Novanta vantava già un demo all'attivo "Illusion Of Light" non manca di maturità.
La mente del progetto datasi il titolo di The Entity ha da poco rilasciato una nuova versione del debutto "Veils Of Psychotic Chaos" rimasterizzata e con l'aggiunta di bonus track, tre delle quali estratte dal non rilascito mini "Perception Of Light" per un totale di oltre un'ora di musica.
Supportato nel proprio lavoro da Corrosive Bob dei Symbyosis, ATNG dei Kristendom ("Pool Of Putrescence") e Gerom Oslanon per quanto riguarda il reparto vocale, dal tastierista Fabien Labonde presente in "Behind The Mirror" con un'esecuzione solistica e dal chitarrista Olivier Laguerre anche lui in veste di solista in "Ephemeral", offre una prova alquanto sfaccettata che partendo da stilemi death vaga per territori progressivi, melodici in cui la tecnica gioca un suo importante ruolo.
Una macchina che non viaggia quasi mai a ritmi esageratamente veloci, sfrutta partiture di batteria di frequente corpose e massicce lasciando che sia il riffing ricercato ma efficace come un pugno in pieno volto a fare il lavoro sporco.
Vi ricordate cos'erano capaci di fare i Fear Factory ai tempi di "Obsolete"? Il riuscire a condurre l'ascoltatore attraverso un mondo futuristico dove le macchine prendono il controllo, beh è questa l'impressione che scaturisce impattando con le tracce, molto è dovuto alla voce distorta che imprime una forte inclinazione meccanica alla propria prova, il sound del resto non fa altro che acuirne l'effetto con le incursioni di tastiera di stampo futuristico pari alle volte a delle schegge laser.
Non per questo rinuncia ad assestare delle gran legnate quando servono, sarà quindi possibile lasciarsi trasportare in un viaggio ai confini dei nostri giorni per esplorare cosa riserva il futuro con "Ursae Oris" e "Liquid Shadows Of Immaterial Reality", trovarsi in mezzo ad arrangiamenti sinfonici come in "Illusion Of Light" o godersi bastonate più dirette alla "Living Cage" e "Crystallized Enucleation".
A quanto pare non pago della quantità di musica e soluzioni che le dodici tracce originali di "Veils Of Psychotic Chaos" regalano all'ascolto, The Entity ha deciso per l'occasione di aggiungerne altre quattro che muovendosi anch'esse su tale stile ne divengono un prolungamento ed evoluzione naturale che si accoglie e assimila nel medesimo modo delle precedenti, non vi è uno stacco così netto da poter creare una rottura del feeling acquisito, vi è però una cura ancor più palese del comparto melodico e dei synth che le rendono un valore aggiunto di quelli che fanno la differenza.
La produzione è pulita, permette un buonissimo fruire delle canzoni e una chiara distinzione strumentale, se aveste quindi piacere nell'ascoltare musica che non sia né un old school, né una prova classicamente melodica le varianti che il progetto Cryopsis vi dà l'opportunità di far arrivare al vostro orecchio non potranno che essere di vostro gradimento, per scelta di The Entity il disco è una release in free download che potrete scaricare a quest'indirizzo http://cryopsis.bandcamp.com, un motivo in più per non farsela scappare.

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AYAT - Six Years Of Dormant Hatred



Informazioni
Gruppo: Ayat
Anno: 2010
Etichetta: Moribund Records
Contatti: non disponibili
Autore: ticino1

Tracklist
1. Ilahiya Khinzir! (All Hail Allah The Swine)
2. Fornication And Murder
3. The Fine Art Of Arrogance Part One (The Icon And The Cattle)
4. Collective Suicide In The Boudoir (Feeling Wonderful Tonight)
5. Puking Under Radiant Moonlight (Followed By A Century Long Ejaculation)
6. Misogyny When We Embrace
7. Necronarcos (Tame You Death)
8. Curses! Curses! And Never Sleep...
9. Thousands Of Pissed Motherfuckers...
10. Such a Beautiful Day! (The Exaltation Of Saint Francis)

DURATA: 58:17

Divento sempre scettico leggendo di gruppi provenienti da paesi mussulmani. Non chiedetemi perché. Sarà forse a causa delle notizie con titoli cubitali che appaiono nei quotidiani, oppure perché sono uno sporco tradizionalista. Mi è stata data la possibilità di ascoltare e criticare la ristampa dei primi lavori del duo libanese Ayat. Sì, avete letto bene. La formazione proviene dal Libano, uno stato che soffre ancora a causa dei numerosi conflitti che hanno lacerato il paese negli ultimi trent’anni. Il metallaro medio vive male in tali paesi, poiché la musica è considerata come un omaggio alla cultura degli infedeli.

L’etichetta avvicina questo gruppo a formazioni come Mayhem, Impaled Nazarene e Judas Priest, ricordando anche le influenze di punk, hardcore e industrial. Dopo il primo ascolto mi domando che droghe abbia preso la persona che ha redatto il testo promozionale. Come se non bastasse, su Metal-Archives vedo che la formazione si definisce black metal.

Dopo il primo ascolto mi restarono pochissime impressioni. Sapevo solo di avere sentito una sfilza di riff tendenti all’hardcore, in parte un poco dilettantistici, un drum computer e una sfilza di sampler. Detto questo, eliminiamo il black metal dalla lista dei generi che dovrebbero calzare a questo gruppo. Le parti più metalliche ricordano un poco i tedeschi Totenmond.

Il concetto della musica è probabilmente più adatto a un quadro regionale. Mi sbaglierò, ma i testi mi paiono contenere molta critica e politica. Sono della ferma opinione che questo prodotto non è pronto per il grande pubblico, anche se pieno di buona volontà, idee e aggressione.

Cari Ayat, grazie per i vostri sforzi. Mi capita raramente di non riuscire ad ascoltare fino in fondo un disco, ma voi siete riusciti a produrre qualcosa che non mi va giù per nulla. Allenatevi ancora un poco, intrattenendo il vostro pubblico di casa che sarà grato per ogni concerto. Aspettate, però, di avere un prodotto maturo, prima di presentarvi al pubblico internazionale. Ah sì, fatemi il favore e non definitevi "black metal".

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THE ALIEN BLAKK


Informazioni
Autore: Mourning
Traduzione: Insanity

Formazione
Joshua Craig - Chitarra, Tastiera, Voce



Aristocrazia ha oggi il piacere d'ospitare il mastermind del progetto The Alien Blakk, l'artista (e non vi è altro modo per definire la sua persona) Joshua Craig. Ciao Joshua, benvenuto sul nostro sito. Come vanno le cose?

Tutto bene, grazie per l'intervista.


Il primo passaggio che credo sia doveroso dare a chi non conosce la tua realtà è un minimo di informazioni su come sia nata la band quindi lascio a te la parola.

The Alien Blakk è nato come idea nel 2005. Avevo alcune canzoni che avrei voluto usare con Ray Herrera (Fear Factory) quando stavamo creando una band ed è finita che non le abbiamo usate. Abbiamo poi creato una band più Rock 'N' Roll e le canzoni più pesanti che stavo scrivendo fuori dalle nostre pratiche si sono evolute da lì. Questo ha dato il via al lavoro per alcuni brani degli Alien.


So che sei un appassionato fan di Star Wars, c'è quindi una connessione con la scelta del nome The Alien Blakk?

No, ma è una bella domanda! In realtà stavo cambiando il mio nome in Alien Black prima di spostarmi in California per adattarmi a quella strana cultura ma non è mai successo. Alien come nome e Blakk come cognome, penso che sarebbe stato troppo strano. Perciò, l'ho tenuto come nome per la band.


Sono passati quattro anni da quando hai rilasciato "Modes Of Alienation", cos'è cambiato? Ho ascoltato da poco il nuovo "Bekoming" e l'impressione è che i toni siano andati inscurendosi, sentore di un malessere passato o di una società costretta a convivere con tempi non proprio splendidi?

È successo molto da allora! "Bekoming" è quel processo catartico di me che faccio un patto con il dolore per la morte di mio padre. "Bekoming" è il mio risveglio in un'altra forma di me stesso. Uno nuova scoperta di chi sono ora nella mia vita e della vita stessa. La sofferenza passata è il punto, sì. Ero incapace di farcela in quella situazione in cui mi trovavo e ho lavorato su queste questioni. La maggior parte del mio lavoro è arrivata una volta che quest'album era fatto. Mi sono seduto e ho guardato cosa stavo scrivendo. Ho capito di aver scritto un concept album senza saperlo.


Un album ricco di belle composizioni e di ospiti illustri, da Mark Hamill (sì, il Luke Skywalker, chi non ha mai visto la saga di Star Wars non sa cosa si è perso) a Eric A.K. e Craig Nielsen dei Flotsam And Jetsam, Kevin Talley drummer ex e non di ho perso il conto quanti act e il sodalizio con David Ellefson dei Megadeth con cui c'è un'amicizia sin da ragazzi se non erro. Come sono nate queste collaborazioni e come si stabilisce chi è adatto all'una o l'altra traccia?

Ci sono anche Deron Miller dei CKY e Donnie Hamby dei Double Drive! Grandi artisti! Ho incontrato Dave alla NAMM Music Conference in California e siamo andati subito d'accordo. Brevemente, Kevin l'ho incontrato tramite il mio avvocato, Donnie tramite Ellefson, Craig l'ho conosciuto quando mi ha chiamato per suonare per un tributo ai Megadeth ma ci siamo incontrati ad un concerto dei Flotsam, A. K. lo conosco perché ho suonato per poco con i Flotsam nel 1996 e Deron l'ho incontrato attraverso James Murphy (Death, Testament) a una cena. Mark Hammil l'ho conosciuto ad un barbecue a casa sua e siamo diventati amici fin da subito. Avevo tutte queste persone che non volevano essere coinvolte nel progetto ed è successo che ho tirato fuori un paio di tracce e hanno detto di essere interessati a collaborare, oppure ho solo detto "Hey, tu fai questo!".


Il tuo stile è vario, riesci a convogliare all'interno dei brani più influenze ma quali sono le preferenze musicali di Joshua Craig? Ci sono artisti che ritieni fondamentali e che hanno dato fondamento al modo di creare che t'appartiene?

James Hetfield è tutto quello che conosco, davvero. Ho imparato a suonare la chitarra e a cantare dalle sue canzoni. Continuo anche oggi a imparare dai Metallica insegnando ai miei studenti come suonare la musica recente dei Metallica. La musica che crea è profonda e significativa, per cui mi piace. Gli ho detto questo e lui mi ha risposto che era pronto a collaborare con chi sa provare il proprio valore, per cui continuerò a lavorare sperando di collaborare con lui un giorno. Se non dovesse succedere, mi ha ispirato abbastanza da farmi scoccare la scintilla del mio amore per la musica, per cui gli sono comunque grato!


Il disco è capace di attrarre sia chi ricerca musica pesante con "The Path", sia chi vuole l'orecchiabile con "Hate Me" e se non si può fare a meno dell'heavy "Runnin' Down A Dream" risolve il problema e non ha cali al proprio interno, com'è stato accolto dalla critica e da chi segue abitualmente la band?

Grazie, lo apprezzo davvero. Tutte le recensioni sono state epiche e positive. Ne ho postata qualcuna sulla pagina dei contatti su www.thealienblakk.com. Sono grato alle persone che trovano un'utilità nella musica e nel processo per crearla. È già una ricompensa. I fan sono grandi, abbiamo fatto un tour di quattro settimane per dare un'anteprima dell'album e tutti erano fuori di testa.


Sei un mastermind, scrivi, componi, produci, hai una passione per il cinema; possibili collaborazioni per colonne sonore in quell'ambito o un futuro dietro la cinepresa come quello intrapreso da Rob Zombie?

In realtà faccio molta musica per videogiochi. Credo sia simile al lavoro per una colonna sonora, per cui non avrei problemi a scrivere colonne sonore e prendere una direzione del genere. Lavorerò sempre con gli Aliek Blakk comunque. Non avrei problemi a fare il regista, sicuramente non avrei problemi a dire come sono o come vorrei le cose, per cui sì, sono sicuro che mi avventurerò in questa direzione quando sarà il tempo.


L'essere senza etichetta è un vantaggio quando sforni una release così personale? Pensi si possa venir limitati da un accordo con una label?

Ho avuto tre label diverse, tutte che volevano prodotti senza badare troppo al contenuto. Non ho voluto che le label limitassero la mia musica. Ho fatto l'album che volevo fare e, onestamente, anche se l'avessi ascoltato solo io sarei contento. È una lotta fare accordi con certa gente, ma molti di questi si sono accorti che semplicemente non gli avrei dato niente perchè ho rifiutato, per cui mi hanno dovuto resitituire i miei diritti.


Possibile che non siano arrivate offerte da un'etichetta "seria" interessata al tuo progetto constatatone il valore? Se non c'è stata la cosa è davvero deludente.

Non ho guardato. Ho visto che se trovassi una label potrei pubblicare tre album immediatamente! Sono aperto alle label interessate!


La passione ti ha spinto a offrire anche lezioni di chitarra online sul sito personale della band, come ti è venuta l'idea e che consensi ha riscosso?

Inizialmente sono stato contattato da Mel Bay (editore di libri) per dare lezioni online. Una al mese per sei mesi fino a che il mio libro venisse pubblicato presentandomi alla loro community. Ho i link di quelle lezioni postati su www.thealienblakk.com nella pagina "lessons". Il mio libro è appena uscito. Sono centoquarantadue pagine ed esce con un dvd di tredici lezioni e un cd di ottantasette tracce. Le lezioni stanno andando alla grande e se qualcuno ne avesse bisogno, sono disponibili e personalizzabili sulla pagina "buy" di www.thealienblakk.com.


Quant'è importante per un artista sapersi divincolare nel mare dei media moderni?

Penso che bisogna farlo. Tutto sta cambiando e bisogna tenersi aggiornati per adeguarsi e capire di cosa parla la gente


C'è qualcosa che ti manca delle decadi passate riguardante il mondo della musica come il ricercare dischi nei negozi (oggi sempre meno affollati) o il semplice acquistarne uno su un consiglio o l'ascolto parziale a casa di un amico?

Mi mancano tutte quelle cose. Sfortunatamente la tecnologia di oggi non permetterà mai al passato di proseguire con quel rispetto. Ci sono alcuni negozi di dischi che vendono dvd e videogiochi per essere attinenti ma è quello che è. I consigli degli amici erano sempre grandi, ora ti mandano un'email con un link!


I The Alien Blakk andranno in giro per live e quale sarà la formazione in caso? Ci sarà David al basso e Chris Contos alla batteria?

I The Alien Blakk faranno concerti, sì. Chris Kontos ha lasciato perchè non poteva impegnarsi per un tour. David è occupato con i Megadeth ora, ma chissà per il futuro. Avrò una nuova line up di persone che sono state sugli album, solo il tempo ci dirà cosa accadrà. Sto parlando con un paio di grandi musicisti ora, per cui saranno musicisti forti e provati, non preoccupatevi!


Ringraziandoti per il tempo concessoci e augurandomi che un giorno tu possa suonare anche nella nostra Italia lascio a te la parola per concludere come meglio credi.

Apprezzo molto l'opportunità di parlare con voi e i vostri lettori e spero che qualcuno faccia un salto su www.thealienblakk.com e senta qualcosa del nuovo materiale! Oppure andate su Itunes e date un ascolto a un paio di canzoni, grazie a tutti.

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HIROSHAMOUR - One

Informazioni
Gruppo: Hiroshamour
Anno: 2009
Etichetta: Banana Castle Records
Contatti: www.myspace.com/hiroshamour
Autore: Mourning

Tracklist
1. Fever
2. Critical Mass
3. The Puppeteer
4. Suicide Bomber
5. Manji
6. Sweeth Toth
7. Orpheus
8. Sacrifice
9. Untitled

DURATA: 43:11

Il trio londinese degli Hiroshamour composto da Phil Honey Jones (chitarra e voce), T Jay Tarantino (basso) e Adam Lewis (batteria) nel 2009 ha pubblicato la propria opera prima dal titolo simbolico di "One".
E' un viaggio particolare dalle atmosfere frequentemente scure quello che la band ci propone, fra tinte psichedeliche, passaggi alternative in stile Tool e un'anima che hard rock e post punk alla Bauhaus, i nove brani dall'effetto ipnotico e adatti agli amanti del trip onirico non si risparmiano in uno svolgere dalla molteplici sfaccettature.
Alternano episodi di medio - lunga durata animosi e interpretativamente vari con altri brevi e dallo spirito meno accentuato, la malinconia fa più volte capolino fra l'ampia gamma d'emozioni ben assortite che trascorrendo i quarantacinque minuti del disco in loro compagnia vi verranno a contatto.
E' rilassante quanto intrigante lasciarsi trasportare da canzoni quali "Critical Mass" che già da un ascolto superficiale vi rimanderà ai Led Zeppelin, seventies fino all'osso e con una dose massiccia di appeal data dalle influenze stoneriane, "The Puppeteer" dov'è il piano a farla da padrone in un corto ma indovinato preludio alla deviata "Suicide Bomber" che nel suo strano incedere mi fa tirar fuori i nomi meno probabili compreso quello di Mustaine per certe assonanze con i 'Deth del periodo meno metallico.
L'istinto sembra essere la guida spirituale a cui fanno seguito le scelte alle volte azzardate ma che in fin dei conti ben s'incastrano nel complesso musicale tirato su dagli Hiroshamour, mettendo su "Manji" noterete come certe soluzioni attingano dall'industrial minimalista, "Sweeth Toth" al contrario fa un passo decisamente indietro puntando su un classicismo che fa delle sonorità anni Settanta la linea portante, quello che ritroverete in pratica nell'evoluzione strumentale verso lidi progressivi e più delicati degli Opeth d'ultima data (non che i ragazzi suonino come loro) mentre l'estesa "Sacrifice" negli undici minuti e passa di durata mette talmente tanta carne al fuoco che è meglio non perdersi in una spiegazione, l'ascolto è la miglior via per renderle giustizia, stessa via da seguire per il platter in toto.
"One" non è uno di quegl'album che si possono giudicare dopo un solo passaggio on air, nè tanto meno dopo un paio, ha bisogno di essere assorbito, vissuto più volte per apprenderne a pieno le minuzie e se ancora la maturazione degli Hiroshamour non è al top, poco ci manca.
In bilico fra ieri e oggi, con tante idee ben sviluppate e molte altre che sicuramente stanno già bollendo in pentola, "One" potrà essere accolto da chiunque segua correnti alternative inerenti al rock e alla psichedelia come un disco di sicuro gradimento.
Hiroshamour, un nome da aggiungere alla vostra lista acquisti.

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